venerdì 29 aprile 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: HENRY (HERRY) GOODLEY

I giorni più belli di una vita racchiusi in un orologio, una storia di amicizia e rispetto che si perde nella notte dei tempi e che meglio di altro racconta chi sia stato Henry “Herry” Goodley, uno dei primi pionieri del football in Italia.
Nato nel 1880 a Nottingham, Goodley giocò per diversi anni in un paio di squadre minori inglesi, senza mai diventare professionista in patria e probabilmente di lui non avremmo ricordato nulla se agli inizi del XX secolo non si fosse trasferito a Torino per lavoro. All'epoca era dipendente di una ditta tessile di un imprenditore svizzero che tanta parte ebbe nella storia pionieristica del football nostrano: Alfred Dick era diventato presidente della Juventus da poco quando chiamò Goodley a Torino per farlo giocare nella sua squadra. In realtà, come si legge nel volume di Alfredo Corinti Amichevolmente Juventus, Goodley nella Juventus con la prima squadra non giocherà nessun incontro di campionato e scenderà in campo soltanto una volta, in occasione di un'amichevole del 1903 che la Juventus giocherà, contro il Club Athletique di Ginevra, imbottita di riserve e di alcuni giocatori del F.C. Torinese in quanto il giorno dopo i bianconeri avrebbero dovuto disputare la finale del campionato contro il Genoa.
Se quindi Goodley non lo ricordiamo certo come giocatore, il suo nome si lega alla storia della Juventus per un altro motivo: è infatti lui assieme al suo connazionale Savage che ordina a Nottingham le nuove maglie per la Juventus, quelle a strisce bianconere che se in un primo momento vengono accolte con disappunto, finiranno per diventare l'icona della squadra torinese.
Non solo. Goodley lega il proprio nome alla storia del football italiano per la sua carriera di arbitro. All'epoca era usanza che ogni società fornisse anche gli arbitri e la Juventus scelse tra i suoi soci proprio Goodley in base alla profonda conoscenza del regolamento che il britannico possedeva. Fu uno dei migliori arbitri del periodo pionieristico e non stupisce che proprio a lui sia stata affidata la direzione del primo incontro della nostra Nazionale, il 15 maggio 1910 contro la Francia.
Ma l'orologio di cui si parlava all'inizio che c'entra? Ce lo spiega molto bene Stefano Bedeschi nel suo La Juve oscura quando riporta un brano di Mario Pennacchia, un frammento di una storia che meglio non potrebbe raccontarci di quegli anni eroici, di quei pionieri che si agitavano a caccia di una palla tra Ottocento e Novecento. Terminato di arbitrare l'incontro del 10 maggio 1913 tra Italia e Belgio, Goodley saluta tutti e se ne ritorna in Inghilterra. Gli amici juventini decidono di regalargli, in segno di amicizia e riconoscenza, un orologio e per questo organizzano – grazie alla Gazzetta del Popolo – una sottoscrizione di 25 centesimi a persona. L'iniziativa ha successo, l'orologio viene acquistato ma Goodley è più rapido di tutti e lascia l'Italia prima che il regalo possa essere consegnato. A quel punto scatta una ricerca spasmodica dell'amico in tutti i recapiti noti e meno noti, ma dell'inglese non si hanno più notizie. Quando la guerra finisce, gli juventini riprendono le ricerche sino al giorno in cui giunge la notizia della morte di Goodley e così pensano bene di appiccicare sull'orologio un'etichetta “Destinato a Mister Goodley, forse morto”e di consegnarlo alla redazione della Gazzetta del Popolo e lì ci rimane, anno dopo anno, dimenticato sul fondo di un cassetto. Più nessuno ci pensa fino ad un bel giorno d'inizio 1930 quando nella sede della Juventus – ora di Edoardo Agnelli – si presenta un attempato signore che dice di chiamarsi Henry Goodley. Il passaparola è contagioso e ben presto una gran folla vuole riabbracciare il vecchio amico e, tra una chiacchiera e l'altra, si scopre che Goodley una volta lasciata l'Italia era finito in Russia e lì era stato travolto da una rivoluzione che lo aveva costretto a vagare per il paese e a ritornare in Inghilterra soltanto diversi anni dopo. Così a qualcuno venne in mente la storia dell'orologio, di quel regalo che quasi vent'anni prima era stato pensato per mister Goodley: ci si precipita nella sede della Gazzetta del Popolo per cercarlo e – miracolo! - viene effettivamente ritrovato, nel fondo di un cassetto e finalmente donato all'amico di un tempo che, ricevendolo, si lascia andare, commosso: “Quest'orologio mi ricorda i giorni più belli della mia vita”.
I giorni, aggiungiamo noi, dei primi calci al pallone...



martedì 26 aprile 2016

La Biblioteca del football perduto

JOHANN CRUIJFF  di Stefano Bedeschi (ebook Urbone Publishing)



Johann Cruijff ed il numero 14.
Oggi, ogni giocatore ha la sua maglia personalizzata, con un numero che lo identifica perfettamente. Del Piero e Messi hanno il 10, Cristiano Ronaldo il 7, Ibrahimovic il 9, tanto per fare qualche esempio.
Ma negli anni settanta la numerazione era rigorosamente dall'1 all'11 e mai nessuno si sarebbe sognato di personalizzare la propria maglia. Nessuno tranne lui, Johann Cruijff. Come nacque questa simbiosi fra il fuoriclasse olandese ed il numero 14 è spiegato in questo libro. Da quel momento Cruijff era il numero 14 ed il numero 14 rappresentava Johann Cruijff.
Anche in questo, come nel modo di giocare e nel modo di vivere, Johann ha anticipato i tempi, segno di un'intelligenza non comune per quei tempi. Johann Cruijff, giocatore universale, fuoriclasse assoluto, leader indiscusso di quella che è stata una delle squadre più belle del mondo. la cosiddetta "Arancia Meccanica", la Nazionale olandese dei primi anni settanta. Ma come dimenticare l'Ajax delle tre Coppa dei Campioni consecutive oppure il Barcelona, capace di vincere la "Liga" al termine di una rimonta quasi impossibile?
In questo libro c'è tutto Johann Cruijff. Dall'infanzia difficile agli ultimi momenti vissuti sul campo. Dall'allenatore super vincente al dirigente scomodo. Perché questo è Johann Cruijff, il numero 14. 


venerdì 22 aprile 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: STEVE BLOOMER

Dici Bloomer e pensi al goal, a quel momento che tutti aspettano appesi alle dinamiche di un incontro di football, a quel momento di felicità bambina che sempre ti sorprenderà, ti emozionerà. Dici Bloomer e ti saltano alla mente immagini sbiadite di folle che impazziscono per un giocatore di football, anche se quelle immagini tu non le hai mai viste, non le ha mai viste nessuno.
Steve Bloomer, però, è stato questo e molto di più. È stato – come lo hanno definito Gabriele Manu e Marco Scialanga nel loro volume Football tra storia e leggenda – il primo idolo del Derby County, perchè già in quegli anni in Inghilterra le folle oltre che riempire stadi enormi, si immedesimavano in un calciatore, sognavano con lui. Riuscì a portare una squadra dall'anonimato sino alle porte della leggenda, sino ad un passo dal vincere qualcosa di importante.
Dici Bloomer e pensi al Derby County, inevitabilmente.
Nato nel 1874, inizia a giocare al pallone sin da bambino e da subito mette in evidenza la sua naturale predisposizione al goal, tanto che su di lui cade l'occhio attento ed esperto di John Goodall, il Magnifico, grande centravanti inglese degli anni a cavaliere tra ottocento e novecento.
Nel 1892 Bloomer entra ufficialmente al Derby County e la storia sua e della società cambia per sempre. Si allena sodo sotto la guida e gli insegnamenti di Goodall ed esordisce in amichevole segnando quattro reti: da quel momento l'appuntamento con il goal non lo fallirà più, sino a quando appenderà definitivamente gli scarpini al chiodo, a 40 anni compiuti, dopo aver segnato 380 reti in 621 incontri.
Dicevamo di come Bloomer riuscì a far diventare grande una squadra che grande non la era affatto. Basti pensare che nella sua stagione di esordio Bloomer segnò 11 reti aiutando la propria squadra a salvarsi dalla retrocessione, ma già con la stagione successiva gli orizzonti erano cambiati completamente e con 18 reti portò il Derby County al terzo posto, piazzamento migliorato due anni più tardi con il secondo posto assoluto dietro al solo Aston Villa e il titolo personale di capocannoniere della Division One con 22 reti segnate in 25 incontri.
L'esordio in nazionale avviene nel 1895, a 21 anni, contro l'Irlanda dove segna una doppietta, posto che lascerà soltanto nel 1907, a trentatrè anni segnando il goal dell'1-1 nella partita contro la Scozia. In nazionale, come riporta Stefano Bedeschi in Di punta e di tacco Vol. I, il suo score è impressionante: 28 reti segnate in 23 partite e ben 8 British Home Championship vinte.
Interessante riportare qui un giudizio, estratto dal sito Storie di calcio, espresso su Bloomer da Frederick Wall, l'allora presidente della Football Association: “Era un tiratore eccezionale e i suoi splendidi passaggi erano generalmente effettuati di prima. Steve faceva errori naturalmente, come tutti, ma era una spanna sopra tutti come goleador”.
E lo era davvero. Con lui il Derby County arrivò ben tre volte in finale di FA Cup senza peraltro mai riuscire a vincerla segnando in totale 240 reti in 376 partite, prima di trasferirsi al Middlesbrough per 750 sterline nel 1906 rimanendovi per quattro anni. A 37 anni ha ancora alcuni goal da segnare e ritorna a casa, al Derby County che nel frattempo, senza di lui, è precipitato in Divisione Two. E a casa, nella sua casa, i suoi goal sono ancora una volta decisivi e con lui il Derby ritorna in Division One.
Il ritiro, a 40 anni, nel febbraio 1914 al termine della partita contro il Burnley. A quel punto tutti goal che doveva segnare, li aveva fatti.
Calcio e Bloomer è comunque un binomio indissolubile e subito si imbarca in una nuova avventura, questa volta come allenatore in Germania nel Britannia Berlin 92 ma la mano feroce della follia bellica spariglia sentimenti, prospettive e sogni.
Nel 1924 vince la Copa del Rey allenando il Real Union e poi ritorna ancora una volta a casa, questa volta definitivamente, per allenare la sua squadra, il Derby County.
Dici Bloomer e sì, pensi al Derby County, decisamente.








martedì 19 aprile 2016

COPPA FEDERALE 1916

20. Girone finale: decima giornata, il Genoa ad un passo dalla Coppa

La competizione voluta dalla Federazione per colmare il vuoto di calcio dovuto alla guerra e al campionato del 1914/15 mai concluso sta arrivando alla fine. Mancano soltanto due partite, ed entrambe possono essere decisive, teoricamente ancora tutte le squadre possono vincere la Coppa così come arrivare tutte e cinque a pari punti.
A Genova domenica si è giocato l'incontro tra il Genoa, ancora privo di De Vecchi e Santamaria, e il Modena, la vera rivelazione della competizione. Davanti ad un numeroso pubblico le due squadre hanno dovuto fare i conti anche con il fortissimo vento che in qualche momento ha condizionato l'andamento del match. Partono forte i padroni di casa che nel primo quarto d'ora segnano due reti con Berardo e Brezzi e danno l'impressione di essere in pieno controllo della partita. Il Modena non ci sta e risponde immediatamente all'uno-due rossoblu con un goal di Varese, il quale poi trova la via della rete anche alla mezzora riportando il punteggio della partita in parità. Concluso così il primo tempo sul 2-2, la ripresa si apre con altre occasioni sprecate dal Genoa e con alcuni attacchi modenesi, sino al 67° minuto, quando Crocco riesce a segnare la rete decisiva per i padroni di casa che così riescono a vincere l'incontro per 3-2, portandosi ad un solo punto di distacco dalla vetta, rendendo così decisivo l'ultimo match in programma a Milano il 30 aprile1, dopo la sosta pasquale.

GENOA-MODENA 3-2

CLASSIFICA:
MODENA 10
JUVENTUS 10
MILAN 9
GENOA 9

1Cfr. La Stampa del 17 aprile 1916

venerdì 15 aprile 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: GIOVANNI GALLINA (II)

Giovanni Oreste Gallina, nato a Casale Monferrato nel 1892, venne definito dalla stampa dell'epoca “uno stilista perfetto del bel giuoco”, un giocatore che cercava sempre di mantenere in tutte le azioni un'eleganza raffinata e concreta.
Ottimo attaccante, contribuì alla vittoria del Casale del campionato 1913/14, formando la famosa e devastante linea d'attacco con Mattea e Varese: il trio in quell'anno segnò ben 65 reti sulle 89 complessive messe a segno dalla squadra nerostellata.
Buon palleggiatore con ottima visione di gioco, il famoso giornalista dell'epoca Emilio Colombo lo vedeva però meglio e lo preferiva quando, agli inizi della carriera, giocava a centrocampo, specialmente sulla sinistra dove era riuscito ad impressionare la critica anche nella fase difensiva, dove con la sua velocità riusciva a contrastare e neutralizzare gli attaccanti avversari.
Gallina II, non va dimenticato, fu anche tra i fondatori proprio del Casale Football Club durante la riunione che si tenne in un'aula dell'Istituto Leardi nel pomeriggio del 18 dicembre 1910. 




Il giornalista e scrittore Luca Rolandi nel suo esaustivo Quando vinceva il quadrilatero riporta il ritratto che Mattea fece del compagno di reparto: Noi del trio (Mattea, Gallina II, Varese) giuocavamo come una persona sola, ci vedevamo e ci sentivamo d’istinto continuamente e di rado accadeva che un passaggio finisse nel vuoto. (…) Egli [Gallina] funzionava da regolatore del gioco, uomo di manovra che imbeccava or l’uno or l’altro secondo la tattica di quei tempi, in certo modo imposta dalla prima legge sul fuorigioco che richiedeva la presenza di tre avversari tra l’uomo che riceveva la palla e la porta opposta……Non bisogna pensare che Gallina fosse lento o temporeggiatore. Nel Casale il gioco si svolgeva sotto il segno della velocità, i movimenti erano istintivi, non si perdeva tempo. Le folle provinciali sono sotto questo aspetto esigenti e guai a dimostrare svogliatezza; non ti saluterebbero nemmeno per strada. Anche Gallina obbediva quindi a questo imperativo di velocità, ciò che manteneva la squadra continuamente in tensione.”
Tutto questo, purtroppo, Gallina II non riuscì a dimostrarlo in Nazionale, dove giocò soltanto due partite senza mai trovare la via della porta.







 

martedì 12 aprile 2016

COPPA FEDERALE 1916

19. Girone finale: nona giornata, ancora tutti in corsa

E' l'argomento di discussione di tutti i ritrovi sportivi. Riuscirà la squadra cittadina ad arrestare la marcia sensazionale del Genoa (…) oppure dovrà arrendersi alla supremazia tecnica della squadra genovese restando senz'altro esclusa dalla competizione della Coppa?”1
Così La Stampa presentava l'incontro tra Juventus e Genoa e lo stesso dubbio pervadeva il numerosissimo pubblico che presenziò all'incontro, “fiorito di eleganze femminili e di spiccanti divise militari in tribuna”. Pronti via il Genoa attacca subito forte ma è la Juventus ad andare in vantaggio dopo appena quattro minuti da calcio d'angolo: il colpo di testa di Laviosa incoccia il palo e sulla ribattuta è lesto Antognini a raccogliere il pallone e a depositarlo in rete. 
La rete di Antognini
I genovesi non si scoraggiano e ricominciano subito ad attaccare e poco dopo godono di un calcio di rigore che il portiere bianconero Terzi para miracolosamente. Ormai però il pareggio del Genoa è nell'aria e arriva puntuale al 20° minuto con un bel tiro di Brezzi dopo altre occasioni sprecate dai rossoblu. Le emozioni del primo tempo, però, non sono ancora finite: la Juventus a quel punto cerca con più convinzione il vantaggio, riesce a subire meno la pressione avversaria e al 25° minuto Reynaudi, con una brillante azione iniziata a metà campo, trova la via del secondo e decisivo goal. La prima frazione di gioco si chiude dunque sul punteggio di 2-1 per la Juventus e tale rimarrà il punteggio sino al termine della partita poiché nella ripresa – complice il gran caldo e il dispendioso primo tempo giocato – nessuna delle due squadre riuscirà più a segnare.
La Juventus chiudeva così la sua avventura in Coppa mantenendo imbattuto il proprio campo e raggiungendo in vetta il Modena.
Al termine della competizione mancavano ormai solo due partite, Genoa-Modena e Milan-Genoa: la classifica era cortissima con tutte le squadre ancora in corsa per la vittoria finale.



JUVENTUS-GENOA 2-1

CLASSIFICA:
MODENA 10
JUVENTUS 10
MILAN 9
GENOA 7

 



1Cfr La Stampa del 8 aprile 1916

venerdì 8 aprile 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: JAMES SPENSLEY

Cinque lire. Con cinque lire un medico inglese con la passione per il football si garantì – a sua insaputa – un posto nell'eternità della storia del calcio italiano. Quel medico era James Spensley che nel 1896, sbarcato da alcuni mesi a Genova, decise di iscriversi in un club inglese di questa città per poter giocare con i suoi connazionali al cricket. Quel club era il Genoa e la data precisa del suo ingresso come socio quella del 20 marzo 1896, come puntualmente riporta Gianni Brera.
Genoa e Spensley, dunque. Perchè fu proprio Spensley che portò il gioco del football nel Genoa, nato nel 1893 come ritrovo di aristocratici e commercianti d'oltremanica di stanza in Liguria per il gioco del cricket.
Passarono davvero pochi mesi, poi – come spesso si suol dire – niente fu più come prima per il Genoa. E per il nostro Paese. Nel club portò la sua passione per il football, diventò capitano della squadra di calcio e promosse l'ammissione dei soci italiani, mentre sul finire del 1897 il Genoa entrava in possesso del suo primo campo da calcio, a Ponte Carrega.
Spensley fu un personaggio eclettico: medico di bordo delle navi mercantili britanniche, fu anche curioso ed appassionato studioso di filosofia, archeologia ed egittologia, scrisse numerosi libri, oltre ad essere per tanti anni corrispondente per il Daily Mail.
Al suo nome sono legate alcune “prime volte” del calcio italiano. Fu lui, infatti, uno dei promotori di quella che è passata alla storia come la prima partita ufficiale in Italia giocata da squadre di due città diverse: era il 6 gennaio 1898, quando Genoa e F.C. Torinese si incontrarono a Ponte Carrega. Non solo. Giocò, vincendolo, il primo campionato di calcio italiano della storia, quello che si disputò in un'unica giornata l'8 maggio 1898 e l'anno successivo fu tra i giocatori che parteciparono nelle file della rappresentativa italiana – formata in massima parte da stranieri che giocavano nel campionato italiano – alla partita che,si potrebbe anche dire così, l'Italia giocò e perse contro larappresentativa elvetica

Ma come giocava, il dottor Spensley? Emilio Colombo su Lo Sport Illustrato” così ne traccia un ricordo:
(...) Si dirigeva verso i pali di un goal, deponeva in un angolo un cartoccio di pece-greca e saltellando attendeva l'inizio del giuoco badando di ben bene ingiallirsi le mani e le braccia colla polvere attaccaticcia. Sembrava un uomo maturo, lento nei movimenti, invece giuocava bene, era agilissimo, fortissimo. Un preciso colpo d'occhio; un'ottima presa, un sicuro coraggio. Fu il primo ad insegnare ai nostri portieri la respinta – specialmente in melée – di palloni alti colle due braccia tese in avanti e le due mani serrate uno all'altra. Guidava la sua squadra, l'allenava, la capitanava.”
Colombo ne tratteggia un ricordo nel ruolo di portiere e anche le poche fotografie lo ritraggono in quel ruolo, ma Spensley giocò anche come difensore e in questo duplice ruolo vinse ben 6 campionati e numerosi incontri della Palla Dapples,l'altro grande trofeo del football dei pionieri.
Morì in Germania nel 1915, durante la prima guerra mondiale, all'età di 48 anni.

lunedì 4 aprile 2016

COPPA FEDERALE 1916

18. Girone finale: ottava giornata, quel che non ti aspetti...

 
Quello che non ti aspetti capita a Genova, nella partita che avrebbe potuto mettere la parola fine al torneo e che invece con il suo risultato regala ancora a tutti una speranza.
Il Genoa apparve nettamente superiore al Milan in ogni reparto, pur soffrendo, come vedremo, di alcune defezioni importanti. Ancor più, come bene mette in evidenza Emilio Colombo dalle colonne de La Gazzetta dello sport, i rossoblu furono superiori ai rossoneri da un punto di vista mentale: “(...) Il Milan è parso strano, persino nella sua stessa composizione. L'associazione gogliarda e battagliera si è trovata come divisa oggi da un impreveduto conflitto. Da una parte vi erano i dirigenti fidenti sempre nella grande vitalità e fermezza del loro team, in qualunque condizione esso fosse. Dall'altra, i giuocatori apparivano invece, e non a torto, preoccupati per l'incompletezza della squadra. (…) I dirigenti continuavano a sperare; i giuocatori no. A noi sembra che il Milan abbia commesso un grava errore non tentando l'impossibile per avere Barbieri. Assente anche il popolare Gigi, il morale della già ridotta squadra è sceso a zero.”1

Entrambe le squadre, come detto, si presentarono incomplete, infatti al Milan mancavano Soldera, squalificato, Barbieri e il fuoriclasse Van Hege, mentre al Genoa mancavano due pilastri della squadra, De Vecchi e Santamaria. Nonostante ciò la partita è stata davvero bella e combattuta, il Genoa ha, come già fatto la domenica precedente a Torino, preso subito il comando del gioco ma senza peraltro riuscire a segnare, chiudendo il primo tempo sullo 0-0. La ripresa inizia seguendo lo stesso canovaccio e dopo dieci minuti l'episodio decisivo. L'arbitro assegna un contestato corner ai rossoblu dai cui sviluppi Walsingham segna la rete decisiva per la vittoria del Genoa2.
Il Milan, dunque, fallita la ghiotta opportunità di riprendersi la testa della classifica, rimetteva tutti in corsa per la vittoria finale, dando morale soprattutto al Genoa che aveva ancora da recuperare due incontri, prima dell'ultima sfida di Milano.

GENOA-MILAN 1-0

CLASSIFICA:
MODENA 10
MILAN 9
JUVENTUS 8
GENOA 7




1Cfr. La Gazzetta dello sport del 3 aprile 1916
2Cfr L'Illustrazione della guerra e la stampa sportiva del 9 aprile 1916

venerdì 1 aprile 2016

WALKIN'ON THE FOOT-BALL: VIRGILIO FOSSATI

Quando ancora il football in Italia era poco più che un pensiero di pochi pionieri, a Milano, Porta Ticinese, nasceva Virgilio Fossati, destinato a diventare il primo capitano dell'Internazionale. Eravamo nel 1889, il XX secolo era alle porte e mentre in Inghilterra folle oceaniche si accalcavano in stadi enormi per assistere alle partite di FA Cup, da noi, come detto, alcuni pionieri, un po' bislacchi, un po' temerari, comunque visionari, correvano confusamente dietro un pallone.
Fossati entrò giovanissimo nella neonata società dell'Internazionale, comunque in tempo per far vincere ai nerazzurri il loro primo titolo di campione d'Italia: era il 1910, la finale quella indimenticabile giocata contro i ragazzini della Pro Vercelli. Emilio Colombo, sulle colonne de Lo Sport Illustrato e la Guerra scriveva che Fossati, pur non avendo un fisico prestante era “nato” per giocare al football, con ottima visione di gioco e senso della posizione, intuiva il gioco, capendo in anticipo le dinamiche e dove sarebbe andato il pallone. Mediano perfetto, forse più propenso al gioco offensivo, era ottimo anche nella fase difensiva, avendo iniziato la carriera proprio come terzino. Giocò sempre per la squadra nerazzurra, collezionando 94 presenze e segnando 4 reti; per l'Internazionale fu anche membro della Commissione Tecnica a guida della squadra, dal 1909 al 1915, quando dovette abbandonare i campi da gioco per rispondere all'Esercito italiano e partire per il fronte. Ovviamente ebbe anche l'onore di giocare per la Nazionale, con la quale disputò 12 incontri segnando 1 rete. Fu presente nella prima, storica, partita dell'Italia il 15 maggio 1910 a Milano, contro la Francia, quando segnò la sua unica rete in Azzurro. Nel Comunicato che la F.I.G.C. emanò il 30 gennaio 2015, in occasione del centenario dell'ultima partita giocata dall'Italia prima del conflitto mondiale, così viene raccontata l'unica rete che Fossati segnò in Nazionale: “al 20' Fossati, dopo aver duettato con il torinese Capello, arrivò alla soglia dell'area francese e lì lasciò partire un diabolico tiro a parabola che sorprese il portiere Tessier, lasciandolo letteralmente di stucco.”
Come spiegava Colombo nel suo articolo, Fossati “non era esclusivamente giocatore di posizione, non aspettava mai da fermo il pallone; lo inseguiva, lo toglieva agli avversari, lo intercettava a metà della parabola con continuo lavoro di spostamenti.”
Insomma, uno dei mediani più completi del primo periodo del calcio italiano, che avrebbe potuto giocare ancora a lungo se non fosse dovuto partire per il fronte e lì trovare la morte a Monfalcone, sull'Isonzo, il 29 giugno del 1916, quando era tenente di fanteria nella Brigata Cuneo. Venne quindi insignito della medaglia d'argento al valor militare con la seguente motivazione: “Dopo aver svolto in tutte le fasi del combattimento attiva e audace opera si offriva spontaneamente per rintracciare possibili varchi nel reticolato nemico ed in tale ricerca cadeva colpito a morte incitando i soldati ad avere fiducia nell'esito vittorioso dell'azione.”
Uno dei tantissimi tributi del calcio italiano alla follia della guerra.