martedì 24 novembre 2015

COPPA FEDERALE 1916

1. Calcio in guerra, campionato “in ghiaccio”

Il calcio italiano nell'autunno del 1915 era ancora fermo a domenica 23 maggio, quando il campionato venne sospeso a seguito della mobilitazione generale e alla successiva dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria.
Per tutta estate la guerra aveva provocato morte e distruzione e con l'approssimarsi dell'autunno del '15 era diventato chiaro ai più che sarebbe stata una guerra lunga, logorante e tragica; però il conflitto bellico nella società civile nell'autunno del 1915 non era ancora sentito come una tragedia incombente, piuttosto come un affare dei militari e, comunque, molto distante – ad eccezione delle terre martoriate del Nord-Est. Vero che tutti i quotidiani nazionali ogni giorno pubblicavano fotografie di soldati e notizie provenienti dal fronte e che anche i giornali sportivi dedicavano ampio spazio alla guerra, ma ancora il conflitto era lontano dai grandi centri italiani. Pertanto non pare particolarmente strano che la richiesta di attività sportiva fosse viva nella cittadinanza e che, nello specifico, la Federazione cercasse di dare una risposta a questa esigenza organizzando partite di calcio. Già con la metà di settembre, infatti, in molte città del nord si riprese a giocare a football, spesso organizzando amichevoli benefiche, ma rimaneva senza risposta una domanda che aleggiava da mesi: cosa fare con il campionato?
Interessante la riunione di domenica 26 settembre quando la Commissione Tecnica della F.I.G.C. a Torino, dopo aver reso omaggio ai “footballers caduti per la Patria ed augurato pronta guarigione ai feriti”1, deliberò che si sarebbero senz'altro dovuti disputare i campionati di Terza categoria, i quali non vennero mai annullati: come bene riportato in Storia sociale del calcio in Italia, furono numerosissimi i piccoli club che dal nord al sud dell'Italia mantennero vivo il gioco del calcio negli anni bui della guerra2. Inoltre la Commissione proponeva alla Presidenza federale la disputa di una speciale “Coppa del Re” alla quale avrebbero potuto partecipare anche le squadre delle regioni più esposte alla guerra, specificando, poi, che se per motivi di opportunità la stessa Presidenza avesse ritenuto non possibile organizzare detta manifestazione, allora si riteneva necessario procedere all'organizzazione di una “Coppa Federale”: l'idea del torneo che andremo a raccontare nei prossimi capitoli stava prendendo dunque forma, anche se le polemiche erano dietro l'angolo.


1Cfr. La Stampa del 27 settembre 1915
2ANTONIO, PAPA – GUIDO, PANICO, "Storia sociale del calcio in Italia", Pag.105 Ed. Il Mulino, Bologna 2002

martedì 10 novembre 2015

La Biblioteca del football perduto

IL ROMANZO DI JULIO LIBONATTI - Di Alberto Facchinetti
(Edizioni inContropiede)

Il Romanzo di Julio Libonatti” è l’unica biografia al mondo dedicata al calciatore sudamericano, che primo in assoluto si trasferì a giocare in un club europeo.
È un libro sul fuoriclasse argentino che in Italia giocò nel Torino (è il secondo miglior marcatore della storia granata) e nella Nazionale. Ma non è solo questo: è anche il romanzo sui Campagnolo, una famiglia argentina di origine veneta.
Luis Antonio è un giornalista che nel 1990 viene inviato in Italia a seguire il Mondiale, e decide di portare con sé il figlio quattordicenne Jorge Alberto. Qui incontreranno uno strambo ma generoso giornalista italiano che conosce molto bene la storia del Toro e del campione argentino. Libonatti diventerà da qual momento una specie di ossessione per Campagnolo padre e figlio. E così Jorge completerà, dopo viaggi e incontri emozionanti, la biografia del calciatore iniziata anni prima da Luis.
Il Romanzo di Julio Libonatti” mescola elementi di storia del calcio con altri di finzione.



Alberto Facchinetti è nato in provincia di Venezia nel 1982.
Laureato presso l’Università di Padova con una tesi sul giornalismo sportivo, ha esordito nel 2011 con “Doriani d’Argentina” (ristampato nel 2013 in una versione ampliata e aggiornata). Nel 2012 è uscito “La Battaglia di Santiago”.
È uno dei fondatori e coordinatori del gruppo di scrittori “Sport in punta di penna”.


Nota introduttiva di Gian Paolo Ormezzano
Edizioni inContropiede
Num. Pag. 135
Prezzo:
Euro 13,50
ISBN: 9788890984419



giovedì 5 novembre 2015

SPORT E GRANDE GUERRA

Cento anni fa tantissimi giovani di tutta Europa partivano per il fronte abbandonando la loro casa e donando sogni, speranze e giovinezza ad una follia che devastò per cinque interminabili anni il cuore del mondo.
Quando il 28 giugno 1914, a Sarajevo, lo studente bosniaco Gavrilo Princip assassinò l'erede al trono d'Austria Francesco Ferdinando, l'Europa viveva gli ultimi attimi di un lungo periodo di pace e progresso, dovuto in massima parte al complesso sistema di alleanze difensive che aveva cristallizzato lo scacchiere europeo, acuendo però sempre più diffidenze e malcontento che trovarono quindi una valvola di sfogo nell'attentato di Sarajevo. Quel giorno, infatti, si innescò il meccanismo perverso che avrebbe portato l'Europa prima, il mondo poi nella più tragica e sanguinosa guerra che si fosse mai vista prima.
Pochi giorni dopo quella tremenda giornata gli appassionati di football seguivano con interesse l'ultimo atto del campionato 1913/14. Domenica 5 luglio nella finale di andata, a Casale Monferrato, la locale squadra di calcio batteva 7-1 la Lazio e la domenica successiva le due squadre giocavano il match di ritorno, dopo che alla mattina furono ricevute in Campidoglio dal sindaco di Roma, Principe Colonna. Anche quella partita venne vinta dal Casale che conquistava così il suo primo – ed unico – campionato italiano, lasciando la Lazio ancora una volta con l'amaro in bocca, ad un passo dalla gloria come l'anno precedente, quella volta sconfitta in finale dalle “bianche casacche” della Pro Vercelli (7-0). In quegli anni la Lazio era sicuramente la squadra più forte del centro sud: come detto riuscì ad arrivare due volte alla finalissima contro le squadre del nord ed anche nel campionato 1914/15, quello che non vide mai la fine a seguito della mobilitazione generale, al momento della sospensione era ad un passo dall'approdare alla finalissima. Mancava, ancora, un'ultima partita nel girone, quella contro il Pisa ma la Lazio era prima in classifica con due punti di vantaggio sul Roman e, proprio, sul Pisa.
Tutto venne sospeso, tutto rimandato al termine della guerra che si sperava veloce ma che già si sospettava sarebbe stata lunga, ma non così tremendamente lunga.
Come in precedenza detto, se subito dopo l'attentato di Sarajevo tutte le diplomazie e le cancellerie d'Europa entrarono in fibrillazione, ancora gli sportivi italiani si godevano i loro svaghi, ma il calcio nostrano aveva incominciato a “fare i conti” con la guerra già nell'estate, quando il Torino di Vittorio Pozzo rientrando dalla tournée in Sudamerica a bordo del piroscafo “Duca degli Abruzzi” una mattina, al largo di Gibilterra, vennero svegliati dalle cannonate e dalla perquisizione di un incrociatore inglese. Così Vittorio Pozzo ricorda quei momenti:
(...) fummo svegliati da due cannonate e ci trovammo la via sbarrata da un incrociatore inglese che s’era messo di traverso sulla nostra rotta. Venne a bordo un picchetto armato, e per poco non pagai caro lo scherzo di essermi messo a parlare tedesco in presenza dell’ufficiale inglese che lo comandava: mi avevano preso per un riservista germanico e volevano portarmi via. All’arrivo a Genova, uno degli amici che ci aspettavano sul molo agitava, nella mano, una quantità di fogli verdi e gialli. Erano i richiami per mobilitazione, od esercitazione. Ce n’era per tutti, ci volevano da tutte le parti: 3° Alpini, 4°Bersaglieri, 5° Genio Minatori, 92° Fanteria. Impallidimmo. Quella guerra, sulla cui durata avevamo tanto scherzato, era lì, con le fauci aperte, a ghermirci.”
Era la guerra, che stava bussando alle porte del nostro Paese, anche se ci eravamo dichiarati neutrali già da oltre un mese. E sarà lungo il filo sempre più sottile della neutralità che l'Italia giocherà la sua “battaglia diplomatica” finalizzata ad ottenere pacificamente – attraverso l'interprswtazione dell'art. VII del Trattato della Triplice Alleanza – quei territori che tre guerre d'Indipendenza non erano riuscite a portare: Trentino e Trieste divennero in quei mesi da un lato le bandiere di chi voleva la guerra e dall'altro l'impegno di chi quella guerra cercava di evitarla o quanto meno di spostarla più in là nel tempo.
 
Questa fotografia, pubblicata da Lo Sport Illustrato, ritrae un incontro di football giocato su un campo del Belgio durante i primi mesi di invasione tedesca, nell'autunno del 1914. Il pubblico è formato in massima parte da ufficiali e soldati tedeschi, così come anche i giocatori sono soldati che si distraggono durante il loro tempo libero. Lo sport – il calcio in particolare – venne utilizzato dagli ufficiali per mantenere in esercizio i soldati e per mantenere alto il loro spirito durante i lunghi mesi di attesa nelle trincee. Come dimostrato dalla più recente storiografia, in special modo dagli ottimi lavori di Giorgio Seccia e Lauro Rossi, in molti campi di prigionia tedeschi la pratica sportiva venne non solo autorizzata ma anzi incentivata. Ma il calcio non serviva soltanto come strumento di distrazione o di mantenimento fisico. Noto ormai a tutti ciò che accadde sul fronte nella notte di Natale del 1914, quando dalle trincee opposte prima si alzarono canti natalizi e poi venne deciso di far tacere almeno per un giorno le armi, sostituite dalla disputa di una partita di calcio tra soldati nemici.

 
In Italia durante i mesi di neutralità – quindi dall'agosto 1914 al maggio 1915 – il “mondo del football” si schierò sempre più apertamente contro l'Austria-Ungheria e a favore delle Terre irredente. Numerosissime furono le partite organizzate dalle società di calcio per raccogliere fondi da destinare alle popolazioni martoriate del Belgio e di Trieste, una di queste merita senz'altro di essere menzionata perché coinvolse direttamente la Nazionale, nelle prime giornate del gennaio 1915, partita organizzata da La Gazzetta dello Sport con il patrocinio dell'A.S.S.I. All'Arena Civica di Milano il 1° gennaio la nazionale italiana giocò contro una mista composta da giocatori sotto le armi di Francia e Belgio, indossando una divisa bianca fregiata dall'alabarda di Trieste.
Un altro esempio è descritto da quest'altra fotografia scattata sempre all'Arena Civica di Milano nell'aprile del 1915 e ritrae Fossati capitano dell'Internazionale, avv. Mauro della Federazione ora sottotenente, ing. Mauro vice-presidente della Federazione, avv. Pedroni arbitro dell'incontro Internazionale-Milan, Franco Scarioni de La Gazzetta dello Sport ora sotto le armi col grado di tenente e il belga Van Hege capitano del Milan. Ma qui, a differenza del tempo in cui venne scattata la fotografia precedente, siamo già ad un passo dall'intervento italiano. Il Patto di Londra, dopo estenuanti trattative, è stato stipulato: la diplomazia italiana, il governo italiano sanno che entro breve dovranno entrare in guerra a fianco di Russia, Francia e Inghilterra, contro quell'Austria-Ungheria che era stata dal 1882 l'alleata più ingombrante nella Triplice Alleanza, ma anche l'antica nemica dell'Unità nazionale.
In Italia, così come in tutta Europa, per tutta la durata della guerra moltissimi furono i calciatori che si arruolarono e tantissimi di loro trovarono la morte al fronte, alcuni di essi molto famosi per l'epoca. Si può dire che tutte le società dell'epoca abbiano pagato un prezzo elevatissimo in vite umane. Per ricordarne doverosamente soltanto alcuni, Giuseppe Caimi, medaglia d'oro al valor militare, che morì nel 1917 sul Grappa; Virgilio Fossati, capitano dell'Internazionale e della Nazionale, uno dei migliori giocatori del periodo prebellico; Luigi Ferraris e James Spensley, entrambi del Genoa, al primo verrà intitolato lo stadio di Genova, mentre il secondo, oltre ad essere stato il primo portiere della squadra genovese, ebbe anche il merito di introdurre il gioco del calcio nella società del Genoa, nata nel 1893 come società di atletica e cricket. La Lazio fu particolarmente colpita: perse infatti, tra gli altri, Orazio Gaggiotti, Rodolfo De Mori, Alberto Canalini, Valerio Mengarini.
Ormai i tempi erano maturi: il 24 maggio 1915 l'Italia dichiarava guerra all'Austria-Ungheria e di calcio se ne parlò e se ne giocò sempre meno. Il campionato, come detto, venne sospeso e soltanto al termine del conflitto il titolo di Campione d'Italia venne assegnato al Genoa, non senza numerose polemiche. Ma ormai si era in un tempo nuovo, diverso. Il calcio era cambiato, l'Italia era mutata e con essa erano cambiati gli italiani, soprattutto i reduci, come meravigliosamente e drammaticamente ha raccontato Rigoni Stern nel commovente romanzo Le stagioni di Giacomo.
Il mondo tentava di rialzarsi, una società nuova si rimetteva in marcia, non necessariamente migliore.