giovedì 4 settembre 2014

La dichiarazione di guerra dell'Austria-Ungheria

Sempre il 28 luglio l'Austria-Ungheria dichiarava guerra alla Serbia.
La Stampa nell'edizione del giorno seguente pubblicò un'intervista ad un alto diplomatico della Triplice Alleanza il quale, in buona sostanza, si esprimeva senz'altro per la pace, ma non una pace a tutti i costi, bensì una “pace condizionata alla protezione dei suoi interessi e più di tutto degli interessi dell'alleata Austria, i quali in fondo costituiscono la base della dignità, dell'onore, della stabilità della Triplice alleanza.”1
Immediata fu la reazione del governo russo che, il giorno seguente, ordinò la mobilitazione delle forze armate estesa all'intero confine occidentale - e non solo alle frontiere austro-ungariche - per prevenire un eventuale attacco da parte della Germania. Il piccolo fiocco di neve aveva iniziato a rotolare giù a valle: il governo tedesco interpretò questa decisione come un atto d'ostilità nei suoi confronti e il 31 inviò un ultimatum alla Russia, intimandole l'immediata sospensione dei preparativi bellici. L'ultimatum cadde nel vuoto e di conseguenza il giorno dopo la Germania dichiarò guerra al governo russo; lo stesso 1° agosto la Francia, legata alla Russia da un trattato militare, mobilitò le sue forze armate. Ancora la Germania rispose con un ultimatum e con la successiva dichiarazione di guerra del 3 agosto.
La guerra nel cuore d'Europa non era più una minaccia, ma drammatica realtà.
Nei telegrammi mandati ad Avarna e Bollati il 29 e il 30, Di San Giuliano esigeva da Berchtold che dichiarasse esplicitamente se riteneva o meno in vigore l'art.VII, perché in caso di risposta negativa l'Italia sarebbe stata costretta a fare "una politica non favorevole all'Austria"2 Concludeva il 31 ribadendo che in ogni caso l'Italia avrebbe dovuto impedire ogni ingrandimento territoriale dell'Austria.3
Berchtold venne autorizzato dal consiglio dei ministri comuni di Austria-Ungheria del 31 luglio, ad aprire all'Italia la prospettiva di un compenso in un unico caso, cioè nell'ipotesi che l'Austria avesse proceduto ad una occupazione durevole di territorio serbo, ribadendo, con altre parole, il concetto già più volte espresso per il quale non riteneva sussistere l'art. VII per occupazioni temporanee di territorio serbo; inoltre nel caso le circostanze lo avessero reso necessario e sempre che l'Italia avesse adempiuto ai suoi obblighi di alleata, si sarebbe potuto discutere la cessione di Valona all'Italia. Subito Berchtold affrontò il discorso con Avarna, raggiungendo un accordo. Ma non c'era alcuna differenza sostanziale con le promesse del 28, il Trentino - al quale mirava Di San Giuliano - era sempre escluso e per questo anche questa offerta venne rifiutata dal governo italiano.4
Sempre il 31 luglio si riunì il Consiglio dei Ministri italiano nel quale si deliberò all'unanimità la neutralità italiana di fronte alla guerra. A questo passo Salandra e Di San Giuliano giunsero attraverso l'interpretazione dell'art. IV della Triplice il quale diceva che nel caso una grande potenza non firmataria avesse minacciato la sicurezza degli Stati di una delle altre parti contraenti e la parte minacciata si fosse vista costretta a fare la guerra, le altre due parti si sarebbero obbligate, verso il loro alleato, ad una benevola neutralità. Se era vero che la Serbia non poteva di certo essere definita "grande potenza" e pertanto teolricamente il caso di specie non rientrava in detto artivcolo, lo era però senza dubbio la Russia che con tutta probabilità si sarebbe schierata al suo fianco, in caso di attacco.
La sera stessa del 31 Di San Giuliano metteva al corrente Flotow della decisione italiana, dicendo che l'azione austriaca contro la Serbia era aggressiva e che quindi non ricorreva il casus foederis, aggiungendo che l'Italia non era stata precedentemente informata e che perciò non si poteva chiederle di prender parte ad una guerra contraria agli interessi italiani. 


1 Cfr. La Stampa del 29 luglio 2014, n. 207
2 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°722,754
3 DDI, Serie IV, vol. XII, nn°778,797
4 LUIGI, ALBERTINI, Op. cit.,vol. III, pagg.282-285

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